Prima che inizi l’esame incrociato il giudice avverte il testimone dell’obbligo di dire la verità e lo informa della conseguente responsabilità penale. Quindi, il testimone legge la formula con la quale si impegna a dire tutta la verità e a non nascondere nulla di quanto è a sua conoscenza. Nonostante assuma tale impegno, egli può rendere dichiarazioni false ovvero può essere reticente o renitente. Il codice, pertanto, contiene una puntuale regolamentazione del procedimento che deve essere seguito quando appare che il testimone violi l’obbligo di rispondere secondo verità. Rispetto al codice previgente, la attuale disciplina del trattamento dei testimoni sospettati di falsità, di reticenza o renitenti presenta dei tratti notevolmente innovativi. Infatti, nel codice di rito penale abrogato il testimone (presunto) falso o reticente oppure il testimone che si rifiutava di rispondere poteva essere assoggettato ad arresto provvisorio e nel contempo, se la testimonianza era resa in istruzione, il processo verbale dell’arrestato veniva trasmesso al pubblico ministero per il relativo procedimento penale. Se, invece, la testimonianza era resa in dibattimento oltre all’arresto provvisorio si poteva procedere al giudizio immediato. Nell’attuale codice di rito penale sono stati abbandonati tali metodi coercitivi ed è stata introdotta la distinzione tra i casi di renitenza e i casi di sospetto di falsità o reticenza. Qualora un testimone si rifiuti di deporre fuori dei casi espressamente previsti dalla legge, in cui è legittimato o addirittura obbligato ad astenersi, il giudice provvede ad avvertirlo sull’obbligo di deporre secondo verità. Se il testimone persiste nel rifiuto, il giudice «dispone l’immediata trasmissione degli atti al pubblico ministero perché proceda a norma di legge». Allorché, invece, il testimone renda «dichiarazioni contraddittorie, incomplete o contrastanti con le prove già acquisite», il giudice, su richiesta di parte o d’ufficio, gli rinnova l’avvertimento dell’obbligo di dire la verità. Ove il pubblico ministero non si attivi immediatamente, chiedendo copia del verbale di udienza, il giudice potrà attivarsi soltanto al temine del dibattimento. Infatti, l’art. 207, co. 2, c.p.p. dispone che «con la decisione che definisce la fase processuale in cui il testimone ha prestato il suo ufficio, il giudice, se ravvisa indizi del reato previsto dall’articolo 372 del codice penale, ne inforna il pubblico ministero trasmettendogli i relativi atti». Ovviamente perché la disciplina relativa al testimone sospettato di falsità o di reticenza oppure renitente trovi applicazione occorre che il dichiarante abbia acquisito la qualità di testimone. Ne consegue che essa è destinata ad operare negli ambiti “processuali”, ossia in quegli ambiti che seguono al formale esercizio dell’azione penale da parte del pubblico ministero.
Testimonianza di sospettati di falsità
Giuseppe Tabasco
2017-01-01
Abstract
Prima che inizi l’esame incrociato il giudice avverte il testimone dell’obbligo di dire la verità e lo informa della conseguente responsabilità penale. Quindi, il testimone legge la formula con la quale si impegna a dire tutta la verità e a non nascondere nulla di quanto è a sua conoscenza. Nonostante assuma tale impegno, egli può rendere dichiarazioni false ovvero può essere reticente o renitente. Il codice, pertanto, contiene una puntuale regolamentazione del procedimento che deve essere seguito quando appare che il testimone violi l’obbligo di rispondere secondo verità. Rispetto al codice previgente, la attuale disciplina del trattamento dei testimoni sospettati di falsità, di reticenza o renitenti presenta dei tratti notevolmente innovativi. Infatti, nel codice di rito penale abrogato il testimone (presunto) falso o reticente oppure il testimone che si rifiutava di rispondere poteva essere assoggettato ad arresto provvisorio e nel contempo, se la testimonianza era resa in istruzione, il processo verbale dell’arrestato veniva trasmesso al pubblico ministero per il relativo procedimento penale. Se, invece, la testimonianza era resa in dibattimento oltre all’arresto provvisorio si poteva procedere al giudizio immediato. Nell’attuale codice di rito penale sono stati abbandonati tali metodi coercitivi ed è stata introdotta la distinzione tra i casi di renitenza e i casi di sospetto di falsità o reticenza. Qualora un testimone si rifiuti di deporre fuori dei casi espressamente previsti dalla legge, in cui è legittimato o addirittura obbligato ad astenersi, il giudice provvede ad avvertirlo sull’obbligo di deporre secondo verità. Se il testimone persiste nel rifiuto, il giudice «dispone l’immediata trasmissione degli atti al pubblico ministero perché proceda a norma di legge». Allorché, invece, il testimone renda «dichiarazioni contraddittorie, incomplete o contrastanti con le prove già acquisite», il giudice, su richiesta di parte o d’ufficio, gli rinnova l’avvertimento dell’obbligo di dire la verità. Ove il pubblico ministero non si attivi immediatamente, chiedendo copia del verbale di udienza, il giudice potrà attivarsi soltanto al temine del dibattimento. Infatti, l’art. 207, co. 2, c.p.p. dispone che «con la decisione che definisce la fase processuale in cui il testimone ha prestato il suo ufficio, il giudice, se ravvisa indizi del reato previsto dall’articolo 372 del codice penale, ne inforna il pubblico ministero trasmettendogli i relativi atti». Ovviamente perché la disciplina relativa al testimone sospettato di falsità o di reticenza oppure renitente trovi applicazione occorre che il dichiarante abbia acquisito la qualità di testimone. Ne consegue che essa è destinata ad operare negli ambiti “processuali”, ossia in quegli ambiti che seguono al formale esercizio dell’azione penale da parte del pubblico ministero.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.