Da tempo si discute in dottrina sul valore da attribuire allo scambio di battute «Tanti sunt mi emptae?» «Sunt», contenuto in Varr. de re rust. 2.2.5 all’atto di descrivere le modalità da seguire, dal punto di vista giuridico, per procedere correttamente alla compravendita delle oves. Il contesto nel quale tale scambio di battute è riportato impone la trattazione preliminare di tre diversi problemi testuali e precisamente: il significato da attribuire al termine lex, l’individuazione del comportamento descritto da Varrone con le parole «expromisit nummos» e l’identificazione del soggetto di «est adnumeratum». Nonostante tutto ciò che di diverso è stato sostenuto su tutte e tre queste questioni si perviene alle seguenti conclusioni: per quanto riguarda il termine lex, dal tenore del passo si evince che esso identifica il regolamento contrattuale sostanzialmente concordato dalle parti prima di passare alla formalizzazione dell’accordo, mentre l’«expromisit nummos» indica l’assunzione da parte del compratore dell’obbligazione di pagare il prezzo tramite stipulatio, ed, infine, l’«est adnumeratum» è una costruzione impersonale, si riferisce alla conta delle oves e rappresenta una forma di traditio caratteristica del grex (D.18.1.35.5-6). Un’ulteriore questione preliminare che viene affrontata riguarda la locuzione antiqua formula che la maggior parte degli autori ritengono vada identificata con il «Tanti sunt mi emptae?» «Sunt», mentre da una più attenta lettura di Varr. de re rust. 2.2.5, si desume che tale locuzione si riferisce alla stipulatio riguardante la garanzia per i vizi e per l’evizione delle oves, riportata nel seguito del passo e definita, poi, prisca formula. Passando all’argomento principale della ricerca e cioè al valore da attribuire al «Tanti sunt mi emptae?» «Sunt» si evidenzia che tre sono i principali orientamenti sostenuti al proposito. La maggior parte degli autori ha ritenuto che lo scambio di battute in esame sia una forma stereotipa di manifestazione del consenso alla vendita, altri, invece, la forma tradizionale di conclusione degli incanti, e altri ancora un contratto formale concluso ex interrogatione et responsione. L’analisi del «Tanti sunt mi emptae?» «Sunt» dal punto di vista della sua struttura e del suo tenore porta necessariamente ad escludere che si tratti di un’addictio e cioè appunto di una forma di conclusione delle vendite all’asta. Mentre per stabilire se esso sia una forma stilizzata di manifestazione del consenso alla vendita o piuttosto un contratto verbale è necessario analizzarlo dal punto di vista degli effetti prodotti dalla sua pronuncia. A tal fine la circostanza che Varrone indichi l’azione corrispondente a quella ex empto-vendito, e tendente al reddere pretium, con l’espressione «simili iudicio» depone già a favore della bilateralità degli effetti prodotti dallo scambio di battute in esame, perché un’azione nascente dall’expromissio nummorum, essendo un’actio ex stipulatu, non potrebbe qualificarsi come simile ad un’actio ex empto-vendito. Evidentemente l’obbligazione di versare il prezzo sorge insieme all’obbligazione di tradere rem dalla pronuncia del «Tanti sunt mi emptae?» «Sunt» e dunque induce a concludere che esso sia una forma stereotipa di manifestazione del consenso alla vendita e non un contratto “verbale” caratterizzato, invece, dall’unilateralità degli effetti. Altro dato che conferma la bilateralità degli effetti prodotti dallo scambio di battute in esame è collegato all’uso del verbo expromittere per indicare, come si è sottolineato, l’assunzione dell’obbligazione di pagare il prezzo da parte del compratore. Per cogliere l’esatto significato di tale locuzione verbale si effettua un percorso a ritroso analizzando tutti i passi in cui essa appare. Nei giuristi dell’età dei Severi (D.23.3.36; D.15.1.11.1; D.39.5.19.4; D.38.1.37.4; D. 39.6.35.7; D.16.1.22; D.23.3.55; D.17.1.45.4; D.15.1.56) expromittere assume un significato più ampio di quello che sarebbe stato suo proprio nell’età intermedia, e precisamente indica l’assunzione verbis di un debito già gravante sul debitore o da parte dello stesso debitore o da parte di un terzo. Per verificare quale dei due casi appena prospettati sia quello più risalente si continua il percorso a ritroso nelle fonti (D.32.41.9; D.39.6.31.3; D.14.6.20; D.30.104.1) e si giunge alla conclusione che il significato più antico di expromittere risulta essere quello di assunzione verbis da parte di chi è già debitore di un’obbligazione che gravava su di lui ad altro titolo. In D.44.1.14, fonte giuridica più antica in cui tale termine ricorre e che risale, peraltro, alla stessa epoca di Varrone, expromittere viene utilizzato per indicare l’assunzione verbis da parte del compratore dell’obbligazione, già sorta, di pagare il prezzo. L’uso del medesimo verbo, dunque, induce a ritenere che anche in de re rust. 2.2.5 l’obbligazione di pagare il prezzo fosse stata già prodotta dal «Tanti sunt mi emptae?» «Sunt» che precede l’expromisit nummos. Ciò conferma l’efficacia bilaterale dello scambio di battute in esame e quindi il suo essere una forma stilizzata di manifestazione del consenso alla vendita. L’ultima parte del lavoro è dedicata ad evidenziare la funzione dell’expromissio nummorum contenuta nel formulario delle oves. In de re rust. 2.1.15 si precisa che l’effetto traslativo viene ad essere collegato alla solutio o alla stipulatio nummorum. In altre fonti (D.18.1.53; I.2.1.41) si richiede per il realizzarsi di un tale effetto, in alternativa al pagamento del prezzo, la satisfactio del venditore, solitamente rappresentata dalla concessione di una garanzia che, al massimo, viene esemplificata nell’assunzione dell’obbligazione di pagare il prezzo da parte di un terzo; data l’indicazione esemplificativa non può escludersi che in epoca varroniana anche la stipulatio pretii dello stesso compratore fosse considerata valida satisfactio. Infine la circostanza che l’expromissio nummorum non viene consigliata negli altri formulari di vendita è facilmente comprensibile considerato che Varrone ritiene opportuno indicare quanto varia, non ciò che è necessario ripetere con le stesse modalità; infatti anche il «Tanti sunt mi emptae?» «Sunt», che evidentemente si sarebbe dovuto pronunciare per l’acquisto di ogni tipo di bestiame, viene riportato solo nel primo formulario, appunto in quello delle oves.

Tanti sunt mi emptae? Sunt. Varr.de re rust.2.2.5

CARBONE M
2005-01-01

Abstract

Da tempo si discute in dottrina sul valore da attribuire allo scambio di battute «Tanti sunt mi emptae?» «Sunt», contenuto in Varr. de re rust. 2.2.5 all’atto di descrivere le modalità da seguire, dal punto di vista giuridico, per procedere correttamente alla compravendita delle oves. Il contesto nel quale tale scambio di battute è riportato impone la trattazione preliminare di tre diversi problemi testuali e precisamente: il significato da attribuire al termine lex, l’individuazione del comportamento descritto da Varrone con le parole «expromisit nummos» e l’identificazione del soggetto di «est adnumeratum». Nonostante tutto ciò che di diverso è stato sostenuto su tutte e tre queste questioni si perviene alle seguenti conclusioni: per quanto riguarda il termine lex, dal tenore del passo si evince che esso identifica il regolamento contrattuale sostanzialmente concordato dalle parti prima di passare alla formalizzazione dell’accordo, mentre l’«expromisit nummos» indica l’assunzione da parte del compratore dell’obbligazione di pagare il prezzo tramite stipulatio, ed, infine, l’«est adnumeratum» è una costruzione impersonale, si riferisce alla conta delle oves e rappresenta una forma di traditio caratteristica del grex (D.18.1.35.5-6). Un’ulteriore questione preliminare che viene affrontata riguarda la locuzione antiqua formula che la maggior parte degli autori ritengono vada identificata con il «Tanti sunt mi emptae?» «Sunt», mentre da una più attenta lettura di Varr. de re rust. 2.2.5, si desume che tale locuzione si riferisce alla stipulatio riguardante la garanzia per i vizi e per l’evizione delle oves, riportata nel seguito del passo e definita, poi, prisca formula. Passando all’argomento principale della ricerca e cioè al valore da attribuire al «Tanti sunt mi emptae?» «Sunt» si evidenzia che tre sono i principali orientamenti sostenuti al proposito. La maggior parte degli autori ha ritenuto che lo scambio di battute in esame sia una forma stereotipa di manifestazione del consenso alla vendita, altri, invece, la forma tradizionale di conclusione degli incanti, e altri ancora un contratto formale concluso ex interrogatione et responsione. L’analisi del «Tanti sunt mi emptae?» «Sunt» dal punto di vista della sua struttura e del suo tenore porta necessariamente ad escludere che si tratti di un’addictio e cioè appunto di una forma di conclusione delle vendite all’asta. Mentre per stabilire se esso sia una forma stilizzata di manifestazione del consenso alla vendita o piuttosto un contratto verbale è necessario analizzarlo dal punto di vista degli effetti prodotti dalla sua pronuncia. A tal fine la circostanza che Varrone indichi l’azione corrispondente a quella ex empto-vendito, e tendente al reddere pretium, con l’espressione «simili iudicio» depone già a favore della bilateralità degli effetti prodotti dallo scambio di battute in esame, perché un’azione nascente dall’expromissio nummorum, essendo un’actio ex stipulatu, non potrebbe qualificarsi come simile ad un’actio ex empto-vendito. Evidentemente l’obbligazione di versare il prezzo sorge insieme all’obbligazione di tradere rem dalla pronuncia del «Tanti sunt mi emptae?» «Sunt» e dunque induce a concludere che esso sia una forma stereotipa di manifestazione del consenso alla vendita e non un contratto “verbale” caratterizzato, invece, dall’unilateralità degli effetti. Altro dato che conferma la bilateralità degli effetti prodotti dallo scambio di battute in esame è collegato all’uso del verbo expromittere per indicare, come si è sottolineato, l’assunzione dell’obbligazione di pagare il prezzo da parte del compratore. Per cogliere l’esatto significato di tale locuzione verbale si effettua un percorso a ritroso analizzando tutti i passi in cui essa appare. Nei giuristi dell’età dei Severi (D.23.3.36; D.15.1.11.1; D.39.5.19.4; D.38.1.37.4; D. 39.6.35.7; D.16.1.22; D.23.3.55; D.17.1.45.4; D.15.1.56) expromittere assume un significato più ampio di quello che sarebbe stato suo proprio nell’età intermedia, e precisamente indica l’assunzione verbis di un debito già gravante sul debitore o da parte dello stesso debitore o da parte di un terzo. Per verificare quale dei due casi appena prospettati sia quello più risalente si continua il percorso a ritroso nelle fonti (D.32.41.9; D.39.6.31.3; D.14.6.20; D.30.104.1) e si giunge alla conclusione che il significato più antico di expromittere risulta essere quello di assunzione verbis da parte di chi è già debitore di un’obbligazione che gravava su di lui ad altro titolo. In D.44.1.14, fonte giuridica più antica in cui tale termine ricorre e che risale, peraltro, alla stessa epoca di Varrone, expromittere viene utilizzato per indicare l’assunzione verbis da parte del compratore dell’obbligazione, già sorta, di pagare il prezzo. L’uso del medesimo verbo, dunque, induce a ritenere che anche in de re rust. 2.2.5 l’obbligazione di pagare il prezzo fosse stata già prodotta dal «Tanti sunt mi emptae?» «Sunt» che precede l’expromisit nummos. Ciò conferma l’efficacia bilaterale dello scambio di battute in esame e quindi il suo essere una forma stilizzata di manifestazione del consenso alla vendita. L’ultima parte del lavoro è dedicata ad evidenziare la funzione dell’expromissio nummorum contenuta nel formulario delle oves. In de re rust. 2.1.15 si precisa che l’effetto traslativo viene ad essere collegato alla solutio o alla stipulatio nummorum. In altre fonti (D.18.1.53; I.2.1.41) si richiede per il realizzarsi di un tale effetto, in alternativa al pagamento del prezzo, la satisfactio del venditore, solitamente rappresentata dalla concessione di una garanzia che, al massimo, viene esemplificata nell’assunzione dell’obbligazione di pagare il prezzo da parte di un terzo; data l’indicazione esemplificativa non può escludersi che in epoca varroniana anche la stipulatio pretii dello stesso compratore fosse considerata valida satisfactio. Infine la circostanza che l’expromissio nummorum non viene consigliata negli altri formulari di vendita è facilmente comprensibile considerato che Varrone ritiene opportuno indicare quanto varia, non ciò che è necessario ripetere con le stesse modalità; infatti anche il «Tanti sunt mi emptae?» «Sunt», che evidentemente si sarebbe dovuto pronunciare per l’acquisto di ogni tipo di bestiame, viene riportato solo nel primo formulario, appunto in quello delle oves.
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