Il rimorchio rientra nel fenomeno della locomozione e presenta indubbie affinità con il trasporto, da quale però si differenzia poiché nel primo la cosa è trainata per essere spostata e non è, al contrario di quanto avviene nel secondo, imbarcata o caricata sul veicolo che la deve trasportare. Inoltre, così come resta confinato nell’alveo di una semplice operazione materiale il trasporto di una cosa di cui è proprietario lo stesso soggetto che effettui materialmente la traslocazione, lo stesso accade ove rimorchiatore e cosa rimorchiata siano di proprietà della stessa persona. Senza la “dualità” tra soggetto cui appartiene il rimorchiatore e quello cui appartiene l’elemento rimorchiato, il rapporto si esaurisce tra due res del medesimo patrimonio e quindi senza alcuna proiezione fuori da esso. Pertanto, affinché si abbia un contratto di rimorchio è necessario che il proprietario del rimorchiatore e dell’elemento rimorchiato siano di soggetti diversi, così come avviene nel trasporto, ove non si esce dall’alveo della mera operazione materiale priva di alcun riflesso sul piano contrattuale ove il vettore trasferisca da un luogo ad un altro una cosa che è sua.Il rimorchio è un contratto “nominato” dal cod. nav., ma, almeno in apparenza non è “tipico”, poiché l’art. 103 c. nav., ne omette la nozione e non indica la prestazione che ne forma oggetto; le altre norme sono in prevalenza dispositive o suppletive (come quella sulla direzione della rotta, art. 103 co. 2 c. nav.) o vertono sulla responsabilità per danni durante il rimorchio (art. 104 c. nav.). Sembrerebbe, allora, che il legislatore abbia solo recepito il nomen iuris astenendosi dal definirlo e dal regolarlo in modo completo. Questa impressione non resiste a più approfondite riflessioni. Il rimorchio era noto e praticato già prima della promulgazione del cod. nav., e risponde ad un preciso significato tecnico: nel suo schema causale minimo consiste nella “trazione” degli elementi rimorchiati, in conformità all’operazione da cui prende il nome. Oltre i vincoli segnati dal “servizio” di rimorchio (art 101 c. nav.), di natura pubblicistica, esercitato in regime di concessione (art. 138, 139 reg. nav. mar.), riprende vigore l’autonomia delle parti, che potranno “liberamente determinare il contenuto del contratto” (art. 1322 cod. civ.) ma entro i limiti di elasticità della causa: se questi vengono superati il contratto potrà essere valido ed efficace, ma non sarà “rimorchio” per snaturamento della causa. Premesso questo inquadramento di ordine generale, si spiega la scelta del legislatore nel cod. nav. del 1942, il quale, nell’alternativa tra una disciplina dettagliata, in una materia caratterizzata dalla estrema varietà di contenuti che il rimorchio poteva assumere, ha optato per una disciplina sommaria, scevra da definizioni e basata sull’accoglimento del criterio pratico della “consegna” degli elementi da rimorchiare (art. 103 co. 1 c. nav.). Su queste basi una posizione critica è assunta nei confronti di taluni “buoni di rimorchio”, speciali formulari elaborati dalla imprese concessionarie nel loro esclusivo interesse, ove si legge che prestazione del rimorchiatore si limita alle semplice erogazione della forza motrice (come se fosse un contratto di somministrazione di energia elettrica o di gas) e non invece alla “trazione”, atta ad imprimere, rallentare o arrestare il movimento degli elementi rimorchiati, caratterizzandosi il rimorchio proprio per il complesso delle manovre che concorrono al risultato complessivo. Trattata la problematica della conclusione del contratto ed affrontato il problema della “direzione della manovra e della navigazione”, si approda alla disciplina della responsabilità per danni da rimorchio, art. 104. c. nav., fondata su una reciproca presunzione di responsabilità (art. 104 c. nav. co. 1 e 2), tra le parti nei confronti dei terzi. Un caso particolare è quello in cui “dalla direzione del convoglio” (art. 104 comma 3 c. nav.) sia derivato un danno, sia alle parti che ai terzi (art. 104 comma 3 c. nav.). Poichè la normativa non è derogabile, superano i limiti concessi all’autonomia privata talune clausole dei “buoni rimorchio” volte ad immunizzare da responsabilità l’armatore del rimorchiatore in caso di danno cagionato da cattiva condotta nautica (e non solo). L’ultima parte del lavoro verte sulle differenze tra “rimorchio” e “soccorso”, in cui la linea di demarcazione, talvolta labile, tra il plus e l’aliud, è contrassegnata dalla presenza dello “stato di pericolo”.

Riflessioni sul contratto di rimorchio

LA TORRE U
2010-01-01

Abstract

Il rimorchio rientra nel fenomeno della locomozione e presenta indubbie affinità con il trasporto, da quale però si differenzia poiché nel primo la cosa è trainata per essere spostata e non è, al contrario di quanto avviene nel secondo, imbarcata o caricata sul veicolo che la deve trasportare. Inoltre, così come resta confinato nell’alveo di una semplice operazione materiale il trasporto di una cosa di cui è proprietario lo stesso soggetto che effettui materialmente la traslocazione, lo stesso accade ove rimorchiatore e cosa rimorchiata siano di proprietà della stessa persona. Senza la “dualità” tra soggetto cui appartiene il rimorchiatore e quello cui appartiene l’elemento rimorchiato, il rapporto si esaurisce tra due res del medesimo patrimonio e quindi senza alcuna proiezione fuori da esso. Pertanto, affinché si abbia un contratto di rimorchio è necessario che il proprietario del rimorchiatore e dell’elemento rimorchiato siano di soggetti diversi, così come avviene nel trasporto, ove non si esce dall’alveo della mera operazione materiale priva di alcun riflesso sul piano contrattuale ove il vettore trasferisca da un luogo ad un altro una cosa che è sua.Il rimorchio è un contratto “nominato” dal cod. nav., ma, almeno in apparenza non è “tipico”, poiché l’art. 103 c. nav., ne omette la nozione e non indica la prestazione che ne forma oggetto; le altre norme sono in prevalenza dispositive o suppletive (come quella sulla direzione della rotta, art. 103 co. 2 c. nav.) o vertono sulla responsabilità per danni durante il rimorchio (art. 104 c. nav.). Sembrerebbe, allora, che il legislatore abbia solo recepito il nomen iuris astenendosi dal definirlo e dal regolarlo in modo completo. Questa impressione non resiste a più approfondite riflessioni. Il rimorchio era noto e praticato già prima della promulgazione del cod. nav., e risponde ad un preciso significato tecnico: nel suo schema causale minimo consiste nella “trazione” degli elementi rimorchiati, in conformità all’operazione da cui prende il nome. Oltre i vincoli segnati dal “servizio” di rimorchio (art 101 c. nav.), di natura pubblicistica, esercitato in regime di concessione (art. 138, 139 reg. nav. mar.), riprende vigore l’autonomia delle parti, che potranno “liberamente determinare il contenuto del contratto” (art. 1322 cod. civ.) ma entro i limiti di elasticità della causa: se questi vengono superati il contratto potrà essere valido ed efficace, ma non sarà “rimorchio” per snaturamento della causa. Premesso questo inquadramento di ordine generale, si spiega la scelta del legislatore nel cod. nav. del 1942, il quale, nell’alternativa tra una disciplina dettagliata, in una materia caratterizzata dalla estrema varietà di contenuti che il rimorchio poteva assumere, ha optato per una disciplina sommaria, scevra da definizioni e basata sull’accoglimento del criterio pratico della “consegna” degli elementi da rimorchiare (art. 103 co. 1 c. nav.). Su queste basi una posizione critica è assunta nei confronti di taluni “buoni di rimorchio”, speciali formulari elaborati dalla imprese concessionarie nel loro esclusivo interesse, ove si legge che prestazione del rimorchiatore si limita alle semplice erogazione della forza motrice (come se fosse un contratto di somministrazione di energia elettrica o di gas) e non invece alla “trazione”, atta ad imprimere, rallentare o arrestare il movimento degli elementi rimorchiati, caratterizzandosi il rimorchio proprio per il complesso delle manovre che concorrono al risultato complessivo. Trattata la problematica della conclusione del contratto ed affrontato il problema della “direzione della manovra e della navigazione”, si approda alla disciplina della responsabilità per danni da rimorchio, art. 104. c. nav., fondata su una reciproca presunzione di responsabilità (art. 104 c. nav. co. 1 e 2), tra le parti nei confronti dei terzi. Un caso particolare è quello in cui “dalla direzione del convoglio” (art. 104 comma 3 c. nav.) sia derivato un danno, sia alle parti che ai terzi (art. 104 comma 3 c. nav.). Poichè la normativa non è derogabile, superano i limiti concessi all’autonomia privata talune clausole dei “buoni rimorchio” volte ad immunizzare da responsabilità l’armatore del rimorchiatore in caso di danno cagionato da cattiva condotta nautica (e non solo). L’ultima parte del lavoro verte sulle differenze tra “rimorchio” e “soccorso”, in cui la linea di demarcazione, talvolta labile, tra il plus e l’aliud, è contrassegnata dalla presenza dello “stato di pericolo”.
2010
trazione; consegna; comandante; buoni rimorchio; responsabilità/danni; soccorso
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