La “persona imbarcata in qualità di ospite” è richiamata dall’art. 36 del “codice della nautica da diporto”, approvato con d.lgs.18 luglio 2005, n. 171, secondo cui i servizi di bordo possono essere svolti, a giudizio del comandante, anche da “Persone imbarcate in qualità di ospite”. Invero la parola “ospite ”, intendendosi per tale colui il quale dimora graziosamente in luogo altrui, è quasi del tutto assente nel linguaggio giuridico: se ne rinviene traccia all’art. 1168 comma 2, che nega l’azione a difesa del possesso a chi detiene la cosa “per ragioni di servizio o di ospitalità”e all’art. 61 n. 11 del cod. pen., che considera circostanza aggravante la commissione del reato “con abuso di relazione di ospitalità”. Pertanto “ospite” deve intendersi, in mancanza di alcuna definizione, il trasportato a titolo di cortesia, ovvero colui il quale partecipa alla vacanza ed al tempo libero a bordo della nave o dell’imbarcazione da diporto. Chiariti i presupposti in base ai quali questi aderisce alla proposta del comandante (tenuto ex art. 35 a verificare la presenza a bordo di personale qualificato e sufficiente a formare l’equipaggio), il cosiddetto ospite si impegna non sulla base di rapporto di cortesia, come tale revocabile, ma sulla base di un accordo e quindi di un contratto, vincolandosi a svolgere servizi di bordo per il tempo del viaggio e perdendo irrimediabilmente al qualifica di “ospite”, la cui prestazione assicura la tutela del superiore valore della sicurezza. Dalla intersezione tra “cortesia ”e “dovere” non è il giuridico che si trasforma in cortese ma l’esatto contrario, per cui la figura dell’ospite resta irrimediabilmente schiacciata, assorbita dalla giuridicità del rapporto di lavoro a bordo.
Ospite e membro di equipaggio: una singolare commistione
LA TORRE U
2008-01-01
Abstract
La “persona imbarcata in qualità di ospite” è richiamata dall’art. 36 del “codice della nautica da diporto”, approvato con d.lgs.18 luglio 2005, n. 171, secondo cui i servizi di bordo possono essere svolti, a giudizio del comandante, anche da “Persone imbarcate in qualità di ospite”. Invero la parola “ospite ”, intendendosi per tale colui il quale dimora graziosamente in luogo altrui, è quasi del tutto assente nel linguaggio giuridico: se ne rinviene traccia all’art. 1168 comma 2, che nega l’azione a difesa del possesso a chi detiene la cosa “per ragioni di servizio o di ospitalità”e all’art. 61 n. 11 del cod. pen., che considera circostanza aggravante la commissione del reato “con abuso di relazione di ospitalità”. Pertanto “ospite” deve intendersi, in mancanza di alcuna definizione, il trasportato a titolo di cortesia, ovvero colui il quale partecipa alla vacanza ed al tempo libero a bordo della nave o dell’imbarcazione da diporto. Chiariti i presupposti in base ai quali questi aderisce alla proposta del comandante (tenuto ex art. 35 a verificare la presenza a bordo di personale qualificato e sufficiente a formare l’equipaggio), il cosiddetto ospite si impegna non sulla base di rapporto di cortesia, come tale revocabile, ma sulla base di un accordo e quindi di un contratto, vincolandosi a svolgere servizi di bordo per il tempo del viaggio e perdendo irrimediabilmente al qualifica di “ospite”, la cui prestazione assicura la tutela del superiore valore della sicurezza. Dalla intersezione tra “cortesia ”e “dovere” non è il giuridico che si trasforma in cortese ma l’esatto contrario, per cui la figura dell’ospite resta irrimediabilmente schiacciata, assorbita dalla giuridicità del rapporto di lavoro a bordo.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.