INTRODUZIONE: L'Edema linfatico dell'arto superiore secondario all'intervento di mastectomia è una condizione patologica cronica ed evolutiva, legata alla perdita di deflusso del liquido interstiziale dall'arto superiore per interruzione delle vie linfatiche, spesso disabilitante per l'individuo che la presenta e per questo di specifico interesse della Medicina Riabilitativa. In base alle linee guida nazionali e internazionali in ambito vascolare, il Linfedema rientra tra quelle patologie che prevedono un approccio terapeutico multidisciplinare comprendente dalla terapia farmacologica alla chirurgia dei linfatici, all’intervento riabilitativo fino, qualche volta, al supporto psicologico. La competenza Riabilitativa è stata riconosciuta dall’OMS già nel 1980, inserendo il Linfedema tra le 1 patologie in grado di indurre “Menomazione, Disabilità ed Handicap ”. Vari sono i momenti in cui il linfedema può presentarsi: nel post-operatorio, a causa della mancata mobilizzazione dei liquidi, con risoluzione spontanea in pochi giorni ed una facile prevenzione con il drenaggio posturale e la mobilizzazione dell'arto. Il linfedema vero e proprio si produce generalmente dopo 6-12 settimane, insorge gradualmente, interessando tutto l’arto con evoluzione lenta, raggiungendo gli stadi più avanzati di organizzazione in caso di mancato trattamento (3°-4° stadio). Quello che compare tardivamente, anche a distanza di anni, è sempre dovuto ad una causa che produce un’occlusione dei vasi linfatici residui e che generalmente è ben individuabile: una recidiva della neoplasia, una linfangite reattiva, una compressione ab-estrinseco, una terapia locale con cortisonici (infiltrazione loco-regionale), una patologia dell'arto superiore che comporta una riduzione della sua mobilità. In questo lavoro, ci si è proposti di valutare l’efficacia del trattamento riabilitativo in ambiente acquatico del braccio grosso post – mastectomia, inteso non come trattamento esclusivo ma piuttosto come trattamento integrato a tutti quelli previsti dalle Linee Guida Internazionali, quali il Drenaggio Linfatico Manuale, il Bendaggio Funzionale, la Terapia Fisica, la Terapia Strumentale (Pressoterapia Sequenziale, Onde d’urto, Ultrasuonoterapia), promuovendo, quindi, l’idea di un Trattamento Fisico Combinato. La Riabilitazione in acqua nelle pazienti operate di tumore al seno mira a recuperare le limitazioni funzionali residuati dall’intervento in un contesto diverso dagli usuali canoni riabilitativi: la piscina, luogo da sempre ritenuto ludico, lontano dalla sterile asetticità degli ospedali, priva di camici bianchi e lettini, ricca solo di acqua, colore, allegria e spensieratezza, fondamentali in una malattia così provante sia dal punto di vista funzionale che psicologico. Il tumore, infatti, non è solo una malattia: è un’immagine legata al concetto di sofferenza e dolore; è la vita che si sgretola, la paura del futuro e la rabbia del presente. L’obiettivo che ci si è posti non è stato quello di incidere sul linfedema, ma di migliorare la funzionalità dell’arto superiore interessato in termini di reclutamento muscolare, propriocettività, postura ed equilibrio, richiedendo un lavoro di globalità in grado di riflettersi soprattutto sulle autonomie della vita quotidiana.         1 International Classification of Impairments, Disabilities and Handicaps (ICIDH)MATERIALI E METODI: Il lavoro, svolto dall’ottobre 2010 al luglio 2011, ha permesso di reclutare in totale 20 pazienti, con età media di 40,7 anni, presso l’ambulatorio di riabilitazione oncologica, nostra U. O. di Medicina Fisica e Riabilitativa. A tutte le pazienti sono state effettuate, all’inizio ed alla fine del trattamento, le seguenti valutazioni: CEAP, CIRTOMETRIA, ICF, FS-36, MRC, ROM, FIM. L’utilizzo dell’ICF ha evidenziato, in entrambi i gruppi, l’incidenza della patologia sulle attività di vita quotidiana, quali la mobilità, la cura della propria persona, la vita domestica, la vita sociale. Sono state escluse dal gruppo di lavoro le pazienti con problemi dermatologici di diversa natura, presenza di ferite in fase di guarigione, linfangiti in atto, infezioni, sinusiti o bronchiti, importanti patologie coronariche e respiratorie. I relativi dati sono stati utilizzati per la stesura del Progetto e programma Riabilitativo. Sono stati creati due gruppi di lavoro di 10 pazienti ciascuno: il primo gruppo è stato sottoposto soltanto ai trattamenti a secco; il secondo gruppo è stato sottoposto ai trattamenti a secco e successivamente al trattamento riabilitativo in acqua, svoltosi per 10 sedute, con cadenza giornaliera per 45 minuti. Il metodo riabilitativo applicato in acqua è stato l’A.S.P. (Approccio Sequenziale e Propedeutico) dell’ANIK, attraverso il quale si è cercato di facilitare i processi di apprendimento di capacità in un ambiente microgravitario, per trasportarle poi a secco. L’approccio sequenziale propedeutico ci ha permesso di lavorare globalmente sul reclutamento di fibre muscolari, equilibrio, schema corporeo e lavoro propriocettivo: il reclutamento di fibre muscolari, secondo questo approccio, deve essere un rinforzo cranio – caudale e prossimo – distale attraverso un lavoro di contrazioni concentriche ed eccentriche con gli ausili, sfruttando il Principio di Archimede. Il lavoro propriocettivo è favorito dalla spinta idrostatica. In acqua, essendo ridotta la forza di gravità, si è riusciti a modificare e favorire lo schema corporeo grazie a sensazioni diverse dal carico, provenienti dalla destabilizzazione dell’acqua, dal contatto con l’acqua e dal movimento. Giocando con le destabilizzazioni dell’acqua e del fisioterapista, è stato possibile lavorare anche sull’equilibrio delle pazienti. Le lettere che compongono il nome di questo metodo racchiudono i suoi principi: -approccio: indica tutte le procedure per l’Ambientamento, l’Acquaticità e la Valutazione di un paziente in funzione della patologia trattata. L’acqua rappresenta il setting terapeutico. -sequenziale e propedeutico: indicano il tipo di lavoro riabilitativo che si svolge. Sequenziale significa proposta logica di schemi di difficoltà crescente, dal semplice al complesso; l’esercizio successivo implica l’acquisizione del precedente. Propedeutico perché propone sequenze logiche di esercizi, che all’inizio permettono al paziente di adattarsi ed ambientarsi in acqua e che aumentano di difficoltà con lo scopo di dare al paziente la completa autonomia in acqua. I vari momenti di difficoltà crescente racchiudono in sé valenze terapeutiche diverse che porteranno ad un apprendimento motorio e/o psicomotorio, nonché al recupero funzionale. Lo studio è stato condotto in un centro di riabilitazione dotato di piscina riabilitativa; le pazienti sono state addestrate sulle regole da rispettare prima, durante e dopo l’ingresso in acqua. La temperatura dell’acqua è stata quella standard di 29°. Le problematiche residuate dalle pazienti sono state molto soggettive, pur rientrando in un contesto di danni funzionali legati prioritariamente ad esiti da intervento chirurgico e/o da ricostruzione del seno (dolore, problematiche cicatriziali, linfedema di diverso grado e distribuzione, ipotrofia muscolare, deficit articolari e muscolari, alterazioni dello schema corporeo., lesioni neurologiche e problematiche psicologico – relazionali). Ogni trattamento riabilitativo, effettuato con rapporto individuale 1:1, è iniziato con la valutazione in acqua, proposta dall’ANIK: è stato analizzato l’assetto idrostatico spontaneo delle pazienti, tutte le disarmonie del corpo, tutte le deviazioni rispetto alla linea mediana, tutte le posture inadeguate sui tre piani (frontale, sagittale e trasversale). L’utilizzo degli ausili (per esempio, le ciambelle) nella valutazione ci ha fornito la possibilità di osservare globalmente le pazienti, in quanto la spinta idrostatica amplifica le disarmonie. La prima fase del trattamento è consistita nell’ambientamento, rendendo l’ingresso delle pazienti sicuro, tranquillo e sempre più confidenziale con l’acqua, insegnando successivamente ad essere autonomi nella propria gestione in questo ambiente, ponendo quindi basi molto importanti da un punto di vista sociale. Le prime difficoltà che si sono evidenziate sono scaturite proprio dalla paura che molte pazienti hanno manifestato nei confronti dell’acqua, per cui si è ritenuto importante iniziare con esercizi di respirazione (training respiratorio, inspirazione sopra il livello dell’acqua ed espirazione sotto ilo livello dell’acqua, vocalizzazione) e rilassamento, di preparazione alle fasi successive della terapia. In seguito, è stata proposta una serie di esercizi, a difficoltà crescente, variando l’uso ed il volume degli ausili, il livello dell’acqua, superficie, volumi polmonari, velocità d’esecuzione del movimento, peso e presenza di punti fiss, intesi come facilitazione iniziale al movimento e, quindi, successivamente sottratti. Se ne citano alcuni, come esempio: 1) esercizi di rilassamento e mobilizzazione in caso di dolore. Paziente in posizione supina, con ausili (tubi e salvagenti di varie dimensioni e volume) a livello lombare e a sostegno del capo. Il terapista effettua una presa dal cavo popliteo. La tecnica di lavoro consiste in trascinamento/allontanamento sulla superficie dell’acqua al fine di ottenere passivamente la mobilizzazione della spalla. Sfruttando, infatti, tali movimenti si può ottenere una mobilizzazione passiva in adduzione (trascinamento) / abduzione (allontanamento). Lo stesso esercizio, effettuato attivamente e contro resistenza, consente di incidere sul miglioramento della forza muscolare. Foto 1 Foto 1: scivolamento passivo senza affondamento 2) Esercizi di mobilizzazione e/o mobilizzazione in rotazione. Paziente supino con ausili (tubi e salvagenti di varie dimensioni e volume) a sostegno del capo e a livello lombare. Il terapista effettua una presa dal cavo popliteo. La tecnica di lavoro consiste in trascinamento/allontanamento con rotazioni del tronco per sfruttare maggiormente la resistenza dell’acqua sull’arto immerso ed elicitare un maggiore effetto drenante sull’arto. Foto 2 Foto 2: lavoro passivo, semplice trasporto sull’acqua; lavoro attivo del paziente, contrasto e/o resistenza alle turbolenze create dall’acqua 3) Esercizi in allungamento. Paziente in piedi o in ginocchio con ausilio (pallina) sotto la mano dell’arto interessato. La tecnica di lavoro prevede che la paziente mantiene il braccio teso vicino al corpo con una minima trazione verso il basso effettuando piccole e lente oscillazioni a diversi livelli di profondità. Foto 3 Foto 3: questo esercizio sfrutta la pressione per migliorare la circolazione a livello dell’arto; eseguibile variando i livelli di immersione , al fine di sfruttare i giochi di pressione alle diverse profondità. Utile inoltre per l’allungamento del comparto dell’arto superiore Tutti gli esercizi sono stati inizialmente proposti in maniera passiva e successivamente in maniera attiva, favorendo l’autonomia funzionale delle pazienti. La seduta si è conclusa riproponendo gli stessi esercizi respiratori effettuati all’inizio.    RISULTATI: Dai dati che abbiamo potuto raccogliere, è emerso che: 1) in nessun caso si è assistito ad una modificazione in senso negativo del quadro patologico dal punto di vista clinico né si è avuta la comparsa di effetti collaterali di alcun tipo. 2) Tutte le pazienti trattate in acqua hanno riferito un miglioramento del sintomo “dolore” e dell’autonomia funzionale già a metà ciclo di terapia. A questo punto,infatti, è stato possibile l’inserimento degli ausili a volume variabile (ciambelle) a quelli già utilizzati a volume non variabile (tubi e tavolette): l’utilizzo delle ciambelle ci ha permesso di modificare il volume, adattandolo alle diverse caratteristiche fisiche delle pazienti, alla loro forza muscolare ed al tipo di esercizio eseguito, facilitandone o destabilizzandone l’esecuzione. Dopo il periodo di trattamento, in tutte le pazienti si è osservato una diminuzione di consistenza dell’edema (100%), ma dal confronto dei dati relativi ai due gruppi di lavoro, è emerso che il secondo gruppo, trattato a secco ed in acqua, ha registrato un incremento dell’escursione articolare e della forza muscolare maggiore rispetto al primo gruppo, trattato soltanto a secco. I maggiori risultati ottenuti dal secondo gruppo sono stati evidenziati dalla somministrazione finale dell’ICF, in particolare nelle aree relative alle funzioni sensoriali e dolore, funzioni neuromuscoloscheletriche correlate al movimento, mobilità, cura della propria persona, vita domestica, con significative ripercussioni soprattutto a livello psicologico, in termini di accettazione del sé, condivisione e socializzazione. Gruppo 1 Gruppo 2 150 200 150 100 valutazione pre‐ valutazione pre‐ 100 trattamento trattamento 50 valutazione post‐ 50 valutazione post‐ trattamento trattamento 0 0 1 3 5 7 9 1 3 5 7 9   CONCLUSIONI: Il trattamento del braccio grosso post-mastectomia ha da sempre incuriosito gli operatori sulle strategie da adottare, in virtù della sua complessità. Nella nostra esperienza, la combinazione del trattamento a secco con quello in acqua ha rappresentato il “trattamento d’elezione”, poiché il binomio tra le proprietà fisiche dell’acqua ed i principi neuromotori ha reso la situazione riabilitativa ottimizzata dalle facilitazioni microgravitarie dell’ambiente acquatico mediante gradi diversi di apprendimento motorio, garantendo il raggiungimento di obiettivi funzionalmente relazionabili ai deficit funzionali presentati dalle nostre pazienti.  BIBLIOGRAFIA:    Fulvio Cavuoto, Marco Antonio Mangiarotti. La Riabilitazione in acqua secondo il metodo A. S. P. (Approccio Sequenziale e Propedeutico). ANIK 2010.  Ricerca in Riabilitazione “FIM tm Functional independence measure” versione italiana  Didier Tomson, Christian Schuchhardt. Drenaggio linfatico:Teoria, tecniche di base e applicate & fisioterapia decongestionante. Edi – Ermes, 2009.  Michelini S, Failla A, Moneta G. Manuale teorico-pratico di Riabilitazione Vascolare. P.R. Editore. Bologna 2002.  Ricci M.: Disabilità e Linfedema. La Linfologia Italiana. Vol.1, 2006  ICF Checklist OrganizzazioneMondiale della Sanità, settembre 2003

NOSTRA ESPERIENZA NEL TRATTAMENTO RIABILITATIVO IN ACQUA DEL BRACCIO GROSSO POST ‐ MASTECTOMIA

IOCCO M
2011-01-01

Abstract

INTRODUZIONE: L'Edema linfatico dell'arto superiore secondario all'intervento di mastectomia è una condizione patologica cronica ed evolutiva, legata alla perdita di deflusso del liquido interstiziale dall'arto superiore per interruzione delle vie linfatiche, spesso disabilitante per l'individuo che la presenta e per questo di specifico interesse della Medicina Riabilitativa. In base alle linee guida nazionali e internazionali in ambito vascolare, il Linfedema rientra tra quelle patologie che prevedono un approccio terapeutico multidisciplinare comprendente dalla terapia farmacologica alla chirurgia dei linfatici, all’intervento riabilitativo fino, qualche volta, al supporto psicologico. La competenza Riabilitativa è stata riconosciuta dall’OMS già nel 1980, inserendo il Linfedema tra le 1 patologie in grado di indurre “Menomazione, Disabilità ed Handicap ”. Vari sono i momenti in cui il linfedema può presentarsi: nel post-operatorio, a causa della mancata mobilizzazione dei liquidi, con risoluzione spontanea in pochi giorni ed una facile prevenzione con il drenaggio posturale e la mobilizzazione dell'arto. Il linfedema vero e proprio si produce generalmente dopo 6-12 settimane, insorge gradualmente, interessando tutto l’arto con evoluzione lenta, raggiungendo gli stadi più avanzati di organizzazione in caso di mancato trattamento (3°-4° stadio). Quello che compare tardivamente, anche a distanza di anni, è sempre dovuto ad una causa che produce un’occlusione dei vasi linfatici residui e che generalmente è ben individuabile: una recidiva della neoplasia, una linfangite reattiva, una compressione ab-estrinseco, una terapia locale con cortisonici (infiltrazione loco-regionale), una patologia dell'arto superiore che comporta una riduzione della sua mobilità. In questo lavoro, ci si è proposti di valutare l’efficacia del trattamento riabilitativo in ambiente acquatico del braccio grosso post – mastectomia, inteso non come trattamento esclusivo ma piuttosto come trattamento integrato a tutti quelli previsti dalle Linee Guida Internazionali, quali il Drenaggio Linfatico Manuale, il Bendaggio Funzionale, la Terapia Fisica, la Terapia Strumentale (Pressoterapia Sequenziale, Onde d’urto, Ultrasuonoterapia), promuovendo, quindi, l’idea di un Trattamento Fisico Combinato. La Riabilitazione in acqua nelle pazienti operate di tumore al seno mira a recuperare le limitazioni funzionali residuati dall’intervento in un contesto diverso dagli usuali canoni riabilitativi: la piscina, luogo da sempre ritenuto ludico, lontano dalla sterile asetticità degli ospedali, priva di camici bianchi e lettini, ricca solo di acqua, colore, allegria e spensieratezza, fondamentali in una malattia così provante sia dal punto di vista funzionale che psicologico. Il tumore, infatti, non è solo una malattia: è un’immagine legata al concetto di sofferenza e dolore; è la vita che si sgretola, la paura del futuro e la rabbia del presente. L’obiettivo che ci si è posti non è stato quello di incidere sul linfedema, ma di migliorare la funzionalità dell’arto superiore interessato in termini di reclutamento muscolare, propriocettività, postura ed equilibrio, richiedendo un lavoro di globalità in grado di riflettersi soprattutto sulle autonomie della vita quotidiana.         1 International Classification of Impairments, Disabilities and Handicaps (ICIDH)MATERIALI E METODI: Il lavoro, svolto dall’ottobre 2010 al luglio 2011, ha permesso di reclutare in totale 20 pazienti, con età media di 40,7 anni, presso l’ambulatorio di riabilitazione oncologica, nostra U. O. di Medicina Fisica e Riabilitativa. A tutte le pazienti sono state effettuate, all’inizio ed alla fine del trattamento, le seguenti valutazioni: CEAP, CIRTOMETRIA, ICF, FS-36, MRC, ROM, FIM. L’utilizzo dell’ICF ha evidenziato, in entrambi i gruppi, l’incidenza della patologia sulle attività di vita quotidiana, quali la mobilità, la cura della propria persona, la vita domestica, la vita sociale. Sono state escluse dal gruppo di lavoro le pazienti con problemi dermatologici di diversa natura, presenza di ferite in fase di guarigione, linfangiti in atto, infezioni, sinusiti o bronchiti, importanti patologie coronariche e respiratorie. I relativi dati sono stati utilizzati per la stesura del Progetto e programma Riabilitativo. Sono stati creati due gruppi di lavoro di 10 pazienti ciascuno: il primo gruppo è stato sottoposto soltanto ai trattamenti a secco; il secondo gruppo è stato sottoposto ai trattamenti a secco e successivamente al trattamento riabilitativo in acqua, svoltosi per 10 sedute, con cadenza giornaliera per 45 minuti. Il metodo riabilitativo applicato in acqua è stato l’A.S.P. (Approccio Sequenziale e Propedeutico) dell’ANIK, attraverso il quale si è cercato di facilitare i processi di apprendimento di capacità in un ambiente microgravitario, per trasportarle poi a secco. L’approccio sequenziale propedeutico ci ha permesso di lavorare globalmente sul reclutamento di fibre muscolari, equilibrio, schema corporeo e lavoro propriocettivo: il reclutamento di fibre muscolari, secondo questo approccio, deve essere un rinforzo cranio – caudale e prossimo – distale attraverso un lavoro di contrazioni concentriche ed eccentriche con gli ausili, sfruttando il Principio di Archimede. Il lavoro propriocettivo è favorito dalla spinta idrostatica. In acqua, essendo ridotta la forza di gravità, si è riusciti a modificare e favorire lo schema corporeo grazie a sensazioni diverse dal carico, provenienti dalla destabilizzazione dell’acqua, dal contatto con l’acqua e dal movimento. Giocando con le destabilizzazioni dell’acqua e del fisioterapista, è stato possibile lavorare anche sull’equilibrio delle pazienti. Le lettere che compongono il nome di questo metodo racchiudono i suoi principi: -approccio: indica tutte le procedure per l’Ambientamento, l’Acquaticità e la Valutazione di un paziente in funzione della patologia trattata. L’acqua rappresenta il setting terapeutico. -sequenziale e propedeutico: indicano il tipo di lavoro riabilitativo che si svolge. Sequenziale significa proposta logica di schemi di difficoltà crescente, dal semplice al complesso; l’esercizio successivo implica l’acquisizione del precedente. Propedeutico perché propone sequenze logiche di esercizi, che all’inizio permettono al paziente di adattarsi ed ambientarsi in acqua e che aumentano di difficoltà con lo scopo di dare al paziente la completa autonomia in acqua. I vari momenti di difficoltà crescente racchiudono in sé valenze terapeutiche diverse che porteranno ad un apprendimento motorio e/o psicomotorio, nonché al recupero funzionale. Lo studio è stato condotto in un centro di riabilitazione dotato di piscina riabilitativa; le pazienti sono state addestrate sulle regole da rispettare prima, durante e dopo l’ingresso in acqua. La temperatura dell’acqua è stata quella standard di 29°. Le problematiche residuate dalle pazienti sono state molto soggettive, pur rientrando in un contesto di danni funzionali legati prioritariamente ad esiti da intervento chirurgico e/o da ricostruzione del seno (dolore, problematiche cicatriziali, linfedema di diverso grado e distribuzione, ipotrofia muscolare, deficit articolari e muscolari, alterazioni dello schema corporeo., lesioni neurologiche e problematiche psicologico – relazionali). Ogni trattamento riabilitativo, effettuato con rapporto individuale 1:1, è iniziato con la valutazione in acqua, proposta dall’ANIK: è stato analizzato l’assetto idrostatico spontaneo delle pazienti, tutte le disarmonie del corpo, tutte le deviazioni rispetto alla linea mediana, tutte le posture inadeguate sui tre piani (frontale, sagittale e trasversale). L’utilizzo degli ausili (per esempio, le ciambelle) nella valutazione ci ha fornito la possibilità di osservare globalmente le pazienti, in quanto la spinta idrostatica amplifica le disarmonie. La prima fase del trattamento è consistita nell’ambientamento, rendendo l’ingresso delle pazienti sicuro, tranquillo e sempre più confidenziale con l’acqua, insegnando successivamente ad essere autonomi nella propria gestione in questo ambiente, ponendo quindi basi molto importanti da un punto di vista sociale. Le prime difficoltà che si sono evidenziate sono scaturite proprio dalla paura che molte pazienti hanno manifestato nei confronti dell’acqua, per cui si è ritenuto importante iniziare con esercizi di respirazione (training respiratorio, inspirazione sopra il livello dell’acqua ed espirazione sotto ilo livello dell’acqua, vocalizzazione) e rilassamento, di preparazione alle fasi successive della terapia. In seguito, è stata proposta una serie di esercizi, a difficoltà crescente, variando l’uso ed il volume degli ausili, il livello dell’acqua, superficie, volumi polmonari, velocità d’esecuzione del movimento, peso e presenza di punti fiss, intesi come facilitazione iniziale al movimento e, quindi, successivamente sottratti. Se ne citano alcuni, come esempio: 1) esercizi di rilassamento e mobilizzazione in caso di dolore. Paziente in posizione supina, con ausili (tubi e salvagenti di varie dimensioni e volume) a livello lombare e a sostegno del capo. Il terapista effettua una presa dal cavo popliteo. La tecnica di lavoro consiste in trascinamento/allontanamento sulla superficie dell’acqua al fine di ottenere passivamente la mobilizzazione della spalla. Sfruttando, infatti, tali movimenti si può ottenere una mobilizzazione passiva in adduzione (trascinamento) / abduzione (allontanamento). Lo stesso esercizio, effettuato attivamente e contro resistenza, consente di incidere sul miglioramento della forza muscolare. Foto 1 Foto 1: scivolamento passivo senza affondamento 2) Esercizi di mobilizzazione e/o mobilizzazione in rotazione. Paziente supino con ausili (tubi e salvagenti di varie dimensioni e volume) a sostegno del capo e a livello lombare. Il terapista effettua una presa dal cavo popliteo. La tecnica di lavoro consiste in trascinamento/allontanamento con rotazioni del tronco per sfruttare maggiormente la resistenza dell’acqua sull’arto immerso ed elicitare un maggiore effetto drenante sull’arto. Foto 2 Foto 2: lavoro passivo, semplice trasporto sull’acqua; lavoro attivo del paziente, contrasto e/o resistenza alle turbolenze create dall’acqua 3) Esercizi in allungamento. Paziente in piedi o in ginocchio con ausilio (pallina) sotto la mano dell’arto interessato. La tecnica di lavoro prevede che la paziente mantiene il braccio teso vicino al corpo con una minima trazione verso il basso effettuando piccole e lente oscillazioni a diversi livelli di profondità. Foto 3 Foto 3: questo esercizio sfrutta la pressione per migliorare la circolazione a livello dell’arto; eseguibile variando i livelli di immersione , al fine di sfruttare i giochi di pressione alle diverse profondità. Utile inoltre per l’allungamento del comparto dell’arto superiore Tutti gli esercizi sono stati inizialmente proposti in maniera passiva e successivamente in maniera attiva, favorendo l’autonomia funzionale delle pazienti. La seduta si è conclusa riproponendo gli stessi esercizi respiratori effettuati all’inizio.    RISULTATI: Dai dati che abbiamo potuto raccogliere, è emerso che: 1) in nessun caso si è assistito ad una modificazione in senso negativo del quadro patologico dal punto di vista clinico né si è avuta la comparsa di effetti collaterali di alcun tipo. 2) Tutte le pazienti trattate in acqua hanno riferito un miglioramento del sintomo “dolore” e dell’autonomia funzionale già a metà ciclo di terapia. A questo punto,infatti, è stato possibile l’inserimento degli ausili a volume variabile (ciambelle) a quelli già utilizzati a volume non variabile (tubi e tavolette): l’utilizzo delle ciambelle ci ha permesso di modificare il volume, adattandolo alle diverse caratteristiche fisiche delle pazienti, alla loro forza muscolare ed al tipo di esercizio eseguito, facilitandone o destabilizzandone l’esecuzione. Dopo il periodo di trattamento, in tutte le pazienti si è osservato una diminuzione di consistenza dell’edema (100%), ma dal confronto dei dati relativi ai due gruppi di lavoro, è emerso che il secondo gruppo, trattato a secco ed in acqua, ha registrato un incremento dell’escursione articolare e della forza muscolare maggiore rispetto al primo gruppo, trattato soltanto a secco. I maggiori risultati ottenuti dal secondo gruppo sono stati evidenziati dalla somministrazione finale dell’ICF, in particolare nelle aree relative alle funzioni sensoriali e dolore, funzioni neuromuscoloscheletriche correlate al movimento, mobilità, cura della propria persona, vita domestica, con significative ripercussioni soprattutto a livello psicologico, in termini di accettazione del sé, condivisione e socializzazione. Gruppo 1 Gruppo 2 150 200 150 100 valutazione pre‐ valutazione pre‐ 100 trattamento trattamento 50 valutazione post‐ 50 valutazione post‐ trattamento trattamento 0 0 1 3 5 7 9 1 3 5 7 9   CONCLUSIONI: Il trattamento del braccio grosso post-mastectomia ha da sempre incuriosito gli operatori sulle strategie da adottare, in virtù della sua complessità. Nella nostra esperienza, la combinazione del trattamento a secco con quello in acqua ha rappresentato il “trattamento d’elezione”, poiché il binomio tra le proprietà fisiche dell’acqua ed i principi neuromotori ha reso la situazione riabilitativa ottimizzata dalle facilitazioni microgravitarie dell’ambiente acquatico mediante gradi diversi di apprendimento motorio, garantendo il raggiungimento di obiettivi funzionalmente relazionabili ai deficit funzionali presentati dalle nostre pazienti.  BIBLIOGRAFIA:    Fulvio Cavuoto, Marco Antonio Mangiarotti. La Riabilitazione in acqua secondo il metodo A. S. P. (Approccio Sequenziale e Propedeutico). ANIK 2010.  Ricerca in Riabilitazione “FIM tm Functional independence measure” versione italiana  Didier Tomson, Christian Schuchhardt. Drenaggio linfatico:Teoria, tecniche di base e applicate & fisioterapia decongestionante. Edi – Ermes, 2009.  Michelini S, Failla A, Moneta G. Manuale teorico-pratico di Riabilitazione Vascolare. P.R. Editore. Bologna 2002.  Ricci M.: Disabilità e Linfedema. La Linfologia Italiana. Vol.1, 2006  ICF Checklist OrganizzazioneMondiale della Sanità, settembre 2003
2011
TRATTAMENTO RIABILITATIVO IN ACQUA; BRACCIO GROSSO
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