Talking about suffering is not easy. It is a delicate and complex topic which involves, personally and deeply, each human being’s life through his/her personal distress, despair and, sometimes, even through annihilation: all the afore said places this topic in a sort of cultural form of exile. Suffering has almost become a taboo, even if it is more and more the object of show business nowadays and it is manifestly exhibited in public contexts. If, on the one hand, suffering plays a leading role in TV shows and it is the object of curiosity, on the other hand, far from the public eyes, it is put aside, even though it does not appear to be less thunderous. In the private sphere suffering is unsaid, denied, removed. Its exhibition has taken the place of its interpretation. Anyway, some worrying signals come from the new generations. The young people, in fact, seem to be incapable of going through and reacting to suffering, sometimes also to that suffering being the result of a little frustration, which is vented through exaggerated and unimaginable attitudes and behaviours. News in the mass media, meanwhile, already reports them almost on a daily basis. In this respect, what can pedagogy, and so education, do? Is it possible to hypothesize a pedagogy of the suffering as a specific ambit for reflection? And through what ways can education help the person to manage his/her suffering? Some reflection and intervention paths are possible: firstly, it is necessary to let the young person be acquainted with suffering, given that it is an aspect which is intrinsic to his/her existence. Secondly, it is necessary to propose some paths aiming at helping the young person “grasp the meaning” of particular suffering situations in order, for him/her, to work through them better. Suffering, in fact, has two dimensions: an objective one, the damage; and a subjective one, the meaning. And it is just the attribution of meaning, which is important and meaningful for the person’s development, which becomes the focus of pedagogy and of the education task. Training to go through suffering, far from being an unluckily predictive or miraculous procedure, represents only a “tile” more in the mosaic of the subject’s identity construction.

Parlare di dolore non è facile. La delicatezza e la complessità del tema che tocca in modo personale e profondo la vita di ogni essere umano attraverso i modi della lacerazione, della disperazione e a volte perfino dell’annichilimento pone l’argomento in una sorta di esilio culturale. Il dolore è diventato quasi un tabù, anche se sempre più spettacolarizzato e gridato nelle piazze. Se da una parte è divenuto ospite televisivo ed oggetto di curiosità, dall’altra, ovvero lontano dai riflettori, è consegnato ad un silenzio sempre più assordante. Il dolore nel privato viene taciuto, negato, rimosso. L’esibizione ha preso il posto dell’interpretazione. Dalle nuove generazioni arrivano però segnali preoccupanti. I giovani sembrano infatti incapaci di sopportare e di reagire alla sofferenza, a volte anche a quella di una piccola frustrazione, sfogata attraverso atteggiamenti e comportamenti esagerati e impensabili. Le notizie dei mass media, d’altra parte, lo riportano oramai quasi quotidianamente. Cosa può fare la pedagogia, e quindi l’educazione, a tal proposito? E’ possibile ipotizzare una pedagogia del dolore come ambito specifico di riflessione? E attraverso quali modi l’educazione può aiutare il soggetto a gestire la sofferenza? Coscientizzare il giovane al dolore in quanto aspetto connaturato all’esistere umano e proporre percorsi di attribuzione di senso utili a favorire nel soggetto in situazione di dolore percorsi elaborativi sono alcune delle possibili direzioni di riflessione e di intervento. Il dolore presenta infatti due dimensioni: il danno, oggettivo; il senso, soggettivo. Ed è proprio l’attribuzione di senso, per la sua importanza e significatività nella storia di formazione del soggetto, a richiedere l’attenzione della pedagogia e l’impegno dell’educazione. La pedagogia del dolore, lungi dall’essere un’operazione infaustamente predittiva o taumaturgica, rappresenta solo una tessera in più nel mosaico costruzione dell’identità del soggetto.

Educare al dolore

Iaquinta T
2015-01-01

Abstract

Talking about suffering is not easy. It is a delicate and complex topic which involves, personally and deeply, each human being’s life through his/her personal distress, despair and, sometimes, even through annihilation: all the afore said places this topic in a sort of cultural form of exile. Suffering has almost become a taboo, even if it is more and more the object of show business nowadays and it is manifestly exhibited in public contexts. If, on the one hand, suffering plays a leading role in TV shows and it is the object of curiosity, on the other hand, far from the public eyes, it is put aside, even though it does not appear to be less thunderous. In the private sphere suffering is unsaid, denied, removed. Its exhibition has taken the place of its interpretation. Anyway, some worrying signals come from the new generations. The young people, in fact, seem to be incapable of going through and reacting to suffering, sometimes also to that suffering being the result of a little frustration, which is vented through exaggerated and unimaginable attitudes and behaviours. News in the mass media, meanwhile, already reports them almost on a daily basis. In this respect, what can pedagogy, and so education, do? Is it possible to hypothesize a pedagogy of the suffering as a specific ambit for reflection? And through what ways can education help the person to manage his/her suffering? Some reflection and intervention paths are possible: firstly, it is necessary to let the young person be acquainted with suffering, given that it is an aspect which is intrinsic to his/her existence. Secondly, it is necessary to propose some paths aiming at helping the young person “grasp the meaning” of particular suffering situations in order, for him/her, to work through them better. Suffering, in fact, has two dimensions: an objective one, the damage; and a subjective one, the meaning. And it is just the attribution of meaning, which is important and meaningful for the person’s development, which becomes the focus of pedagogy and of the education task. Training to go through suffering, far from being an unluckily predictive or miraculous procedure, represents only a “tile” more in the mosaic of the subject’s identity construction.
2015
Parlare di dolore non è facile. La delicatezza e la complessità del tema che tocca in modo personale e profondo la vita di ogni essere umano attraverso i modi della lacerazione, della disperazione e a volte perfino dell’annichilimento pone l’argomento in una sorta di esilio culturale. Il dolore è diventato quasi un tabù, anche se sempre più spettacolarizzato e gridato nelle piazze. Se da una parte è divenuto ospite televisivo ed oggetto di curiosità, dall’altra, ovvero lontano dai riflettori, è consegnato ad un silenzio sempre più assordante. Il dolore nel privato viene taciuto, negato, rimosso. L’esibizione ha preso il posto dell’interpretazione. Dalle nuove generazioni arrivano però segnali preoccupanti. I giovani sembrano infatti incapaci di sopportare e di reagire alla sofferenza, a volte anche a quella di una piccola frustrazione, sfogata attraverso atteggiamenti e comportamenti esagerati e impensabili. Le notizie dei mass media, d’altra parte, lo riportano oramai quasi quotidianamente. Cosa può fare la pedagogia, e quindi l’educazione, a tal proposito? E’ possibile ipotizzare una pedagogia del dolore come ambito specifico di riflessione? E attraverso quali modi l’educazione può aiutare il soggetto a gestire la sofferenza? Coscientizzare il giovane al dolore in quanto aspetto connaturato all’esistere umano e proporre percorsi di attribuzione di senso utili a favorire nel soggetto in situazione di dolore percorsi elaborativi sono alcune delle possibili direzioni di riflessione e di intervento. Il dolore presenta infatti due dimensioni: il danno, oggettivo; il senso, soggettivo. Ed è proprio l’attribuzione di senso, per la sua importanza e significatività nella storia di formazione del soggetto, a richiedere l’attenzione della pedagogia e l’impegno dell’educazione. La pedagogia del dolore, lungi dall’essere un’operazione infaustamente predittiva o taumaturgica, rappresenta solo una tessera in più nel mosaico costruzione dell’identità del soggetto.
educazione, giovani, dolore, sofferenza; education, young people, pain, suffering,
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.12317/5693
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