Niente di più che una «favola», cosìGiambattista Vico giudica l’ambasceria verso le terre greche narrata in Dion. 10.51.5 e Liv. 3.31.8, racconto che a distanza di quasi tre secoli continua a dividere gli studiosi moderni, legato com’è all’influenza dei diritti greci sulla legislazione decemvirale.Le ragioni che negano credibilità allenostre fonti possono per indice così individuarsi: 1) è dubbio che nel V sec. essa sia giustificabile ed opportuna 2) le fonti sono in contrasto: Polibio e Cicerone sembrano ignorarla, Plinio e Pomponio riporterebbero una tradizione parallela che attribuirebbe ad Ermodoro Efesio il ruolo di mediatoreculturale. Ma la catena di silenzi – da molti ritenuta decisiva – a partire da Polib. 6.8.5a finire a Cic., de rep. 2.36.61–62 – nonsembrerebbe provare contro la storicitàdell’ambasceria e non soltanto perchél’uso di argomenti e silentio dovrebbe essere perlomeno cauto, soprattutto quando lo stato delle fonti è in parte lacunoso, ma per i caratteri e lo spirito delle narrazioni.Né appaiono decisivi gli argomenti di contornosia delle storie polibiane (6.50–51) e 2.12.7) sia dell’intreccio ciceroniano cheinterseca alla «mancanza» del de republicala testimonianza incerta del de legibus 2.23.59 e l’apparente contraddizione del de orat. 1.195–197.Se i vuoti di Polibio e di Cicerone non costituiscono prova a favore dell’accusa di falso contro le testimonianze di Livio e Dionigi, queste potrebbero non essere state ben interpretate, soprattutto in vista del discusso credito delle XII Tavole nei confronti di diritti greci. La domanda da porsi, allora, è: cosa ci dicono i due storici e Livio in particolare? Si può pensare che l’ambasceria partì per le terre di Grecia e della Magna Graecia per capire e e studiare quei sistemi? Possiamo considerare possibile che prima di operare una mutatio della forma civitatis si ponesse l’esigenza di leges Solonis describere e civitatium institutamores iuraque noscere? La risposta potrebbe essere positiva. I Romani non copiarono le leggi dei Greci, né nel loro carattere né -in linea di massima- nei loro contenuti. Ciò di cui i Romani furono debitori ai Greci fu l’esperienza. La «visita dei luoghi» che proprio in quel torno d’anni vedeva le aristocratiche poleis magnogreche – a partire da Crotone – afflitte anch’esse da conflitti sociali, permise ai Romani di soddisfare illoro bisogno di equilibrio, ma nell’originalissima forma che assunsero le XII tavole.

Монтеверди Д. (Катандзаро). Законы XII таблиц и греческие законы “предназначенные для созда- ния свободной народной республики)

Monteverdi D
2015-01-01

Abstract

Niente di più che una «favola», cosìGiambattista Vico giudica l’ambasceria verso le terre greche narrata in Dion. 10.51.5 e Liv. 3.31.8, racconto che a distanza di quasi tre secoli continua a dividere gli studiosi moderni, legato com’è all’influenza dei diritti greci sulla legislazione decemvirale.Le ragioni che negano credibilità allenostre fonti possono per indice così individuarsi: 1) è dubbio che nel V sec. essa sia giustificabile ed opportuna 2) le fonti sono in contrasto: Polibio e Cicerone sembrano ignorarla, Plinio e Pomponio riporterebbero una tradizione parallela che attribuirebbe ad Ermodoro Efesio il ruolo di mediatoreculturale. Ma la catena di silenzi – da molti ritenuta decisiva – a partire da Polib. 6.8.5a finire a Cic., de rep. 2.36.61–62 – nonsembrerebbe provare contro la storicitàdell’ambasceria e non soltanto perchél’uso di argomenti e silentio dovrebbe essere perlomeno cauto, soprattutto quando lo stato delle fonti è in parte lacunoso, ma per i caratteri e lo spirito delle narrazioni.Né appaiono decisivi gli argomenti di contornosia delle storie polibiane (6.50–51) e 2.12.7) sia dell’intreccio ciceroniano cheinterseca alla «mancanza» del de republicala testimonianza incerta del de legibus 2.23.59 e l’apparente contraddizione del de orat. 1.195–197.Se i vuoti di Polibio e di Cicerone non costituiscono prova a favore dell’accusa di falso contro le testimonianze di Livio e Dionigi, queste potrebbero non essere state ben interpretate, soprattutto in vista del discusso credito delle XII Tavole nei confronti di diritti greci. La domanda da porsi, allora, è: cosa ci dicono i due storici e Livio in particolare? Si può pensare che l’ambasceria partì per le terre di Grecia e della Magna Graecia per capire e e studiare quei sistemi? Possiamo considerare possibile che prima di operare una mutatio della forma civitatis si ponesse l’esigenza di leges Solonis describere e civitatium institutamores iuraque noscere? La risposta potrebbe essere positiva. I Romani non copiarono le leggi dei Greci, né nel loro carattere né -in linea di massima- nei loro contenuti. Ciò di cui i Romani furono debitori ai Greci fu l’esperienza. La «visita dei luoghi» che proprio in quel torno d’anni vedeva le aristocratiche poleis magnogreche – a partire da Crotone – afflitte anch’esse da conflitti sociali, permise ai Romani di soddisfare illoro bisogno di equilibrio, ma nell’originalissima forma che assunsero le XII tavole.
2015
Legge delle XII Tavole,influenza greca, credibilità della tradizione, forma civitatis ; Законы XII таблиц, греческое влияние, достоверность античной традиции, forma civitatis; the Law of XII Tables, greek influence, credibility of antique tradition, forma civitatis
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.12317/9729
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